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Attacchi di panico notturno

Gli attacchi di panico si dividono in due categorie:
– gli attacchi di panico inaspettati, percepiti come spontanei in momenti inaspettati, di cui fanno parte anche gli attacchi di panico notturno
– gli attacchi di panico situazionali, indotti da situazioni specifiche, come ad esempio prendere l’ascensore o fare la fila al supermercato (solitamente collegati ad altri disturbi come una fobia specifica o sociale), oppure indotti da situazioni collegate ad un’esperienza traumatica.

ATTACCHI DI PANICO NOTTURNO: COSA SONO

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Durante un attacco di panico notturno la persona si sveglia in preda ad uno stato di angoscia e di paura. L’attacco si manifesta tipicamente con mancanza di fiato, dolore al petto, tachicardia, tremori, sudorazione, vampate di caldo-freddo.

Da un punto di vista della manifestazione clinica sono molto simili agli attacchi presentati di giorno, come possiamo notare consultando il DSM V (il Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi Mentali) che descrive l’attacco di panico come un episodio di intensa paura e disagio, accompagnato da almeno 4 dei seguenti 13 sintomi:

-Paura di perdere il controllo, di impazzire o di morire
-Palpitazioni
-Sensazioni di sbandamento, di instabilità o di svenimento
-Tremori fini o grandi scosse
-Sudorazione
-Dispnea o senso di soffocamento
-Dolore o fastidio al petto
Derealizzazione o depersonalizzazione
-Brividi o vampate di calore
-Parestesie (sensazioni di torpore o formicolio)
-Nausea o disturbi addominali
-Sensazione di asfissia

In generale il sintomo principe dell’attacco di panico è la paura di impazzire, di morire o di perdere il controllo.

Gli attacchi di panico nel sonno si verificano circa nel 69% delle persone con disturbo di panico, sono percepiti come particolarmente spaventosi in quanto durante il sonno il livello di consapevolezza e vigilanza è minore, di conseguenza la persona colta improvvisamente dall’attacco si sente maggiormente vulnerabile e impotente.

Gli attacchi di panico notturno possono colpire le persone prevalentemente durante la fase dell’addormentamento, oppure durante le ore del risveglio, tuttavia alcune riferiscono di avere più crisi di panico notturne, in momenti diversi della nottata. Questi attacchi solitamente avvengono durante la fase non-rem del sonno e non sono provocati dai sogni.

Il disturbo di panico si instaura quando gli attacchi di panico inaspettati diventano ricorrenti, quando si vive una preoccupazione persistente di avere un altro attacco o si temono le sue possibili conseguenze. Si caratterizza inoltre da cambiamenti nel comportamento della persona dovuti agli attacchi, ad esempio l’evitamento di alcune situazioni che nel caso del panico notturno possono essere rappresentate dal ritardare il momento di andare a letto o dal timore di dormire da soli. Il disturbo di panico quindi indica una forma di cronicizzazione dell’attacco di panico.

CAUSE DEGLI ATTACCHI DI PANICO NEL SONNO

Il disturbo di panico solitamente si sviluppa tra i 15 e i 30 anni perché è un periodo caratterizzato da cambiamenti di vita importanti, come lasciare la famiglia di origine, cominciare un nuovo lavoro, creare una nuova famiglia e altri cambiamenti di ruolo. Solitamente quindi il disturbo di panico tende a svilupparsi in adolescenza o nella prima età adulta perché gli eventi favorenti si verificano soprattutto in questo periodo.

Gli attacchi di panico notturno possono essere influenzati dagli eventi che viviamo durante la giornata, lo stato di allerta continua che vive chi soffre di un disturbo di panico conduce ad un aumento degli ormoni dello stress che possono predisporre ai risvegli notturni in preda al panico.

L’esordio sintomatico si situa non a caso nella fase di svincolo dell’individuo nei confronti della propria famiglia di origine, nel momento dell’ “uscita dal nido”. La persona più proverà ansia, più potrà richiedere una presenza accanto che la rassicuri, più proverà panico e più limiterà le proprie possibilità esplorative evitando molte situazioni ed esperienze.

Il contesto familiare di queste persone è caratterizzato da relazioni di dipendenza, soprattutto nei confronti di una delle due figure genitoriali, l’attacco di panico quindi permette al figlio di mantenere la vicinanza alla famiglia di origine.

Un’altra possibile causa degli attacchi di panico notturno riguarda la paura di situazioni legate alla perdita di vigilanza poiché caratterizzate dall’impossibilità di proteggersi da eventuali minacce, di reagire al pericolo o di chiedere aiuto in caso sopraggiunga un infarto o soffocamento.

Queste credenze catastrofiche promuovono una situazione di ipervigilanza che ha un ruolo fondamentale nel mantenimento degli attacchi di panico notturni, la persona infatti tende ad automonitorarsi e a monitorare l’ambiente circostante, cercando di essere preparata di fronte all’imprevisto.

Il contesto familiare di queste persone è solitamente caratterizzato dal messaggio per cui “il mondo è pericoloso” ed è necessario stare attenti all’imprevedibile. La persona quindi sviluppa delle credenze catastrofiche ed agisce di conseguenza.

Un’altra causa che può essere correlata agli episodi di panico notturno è costituita dall’ elevata sensibilità all’ansia, cioè la paura delle sensazioni legate all’attivazione emotiva e fisica, giudicate come pericolose . Queste persone sono particolarmente sensibili all’ansia anche se sono addormentate, si allarmano e si fanno prendere dal panico quando vengono avvertite le normali sensazioni interne del corpo legate alle fluttuazioni fisiologiche interne.

Lo sviluppo di un’elevata sensibilità all’ansia può essere acquisita in diversi modi, ad esempio attraverso un’eccessivo allarmismo delle figure di riferimento nei confronti dello svolgimento di attività inducenti attivazione fisiologica, oppure dall’avere vissuto esperienze come l’essere stati ridicolizzati o presi in giro per il rossore o il tremore.

ATTACCO DI PANICO NOTTURNO: RIMEDI

Gli attacchi di panico notturno si curano facendo psicoterapia. I farmaci, che dovrebbero essere sempre prescritti dallo specialista e non dal medico di base, non sono risolutivi. Possono essere utilizzati come una soluzione momentanea, ma dovrebbero essere sempre accompagnati ad un percorso psicologico. Inoltre, affinché il disturbo non si cronicizzi, è importante muoversi il prima possibile per cercare aiuto.

Il nostro corpo ci sta mandando un allarme importante che non può essere ignorato. E’ necessario rivolgersi ad un esperto che possa aiutarci a capire il motivo dell’ insorgenza degli attacchi di panico notturno e che attraverso un percorso psicologico possa condurci a trovare la chiave per comprendere il proprio malessere e a trovare una soluzione.

Attraverso l’approccio sistemico-relazionale si può osservare come l’attacco di panico notturno sia inserito nel contesto relazionale dell’individuo attraverso la ricostruzione della storia delle sue relazioni, che come abbiamo appena visto, sono spesso legate ai temi dell’autonomia e dell’indipendenza.

Durante il percorso psicologico le credenze dell’individuo vengono messe in discussione, indagando i messaggi che ha ricevuto (quasi mai in modo esplicito, più spesso in modo implicito) e potendo così contestualizzarli nella storia della famiglia in modo tale che assumano un senso.

La persona può scegliere di essere qualcosa di diverso rispetto alla sua storia, infatti più sarà consapevole di quanto gli è stato trasmesso, maggiore sarà il potere di rendere superflue le limitazioni che ha creato alla propria vita.

 

BIBLIOGRAFIA
-Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Quinta edizione, DSM-5. Raffaello Cortina Editore, Milano, 2014.
-Taylor, S. (2000) Disturbi di panico. Monduzzi Editore, Bologna, 2006.

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Dott.ssa Beatrice Ottaviani Psicologa in Valdarno

Problemi relazionali: quali sono le cause e come intervenire?

Saper gestire tutte le relazioni in cui siamo immersi non è semplice! I familiari, il partner, gli amici, i colleghi, altre persone che non abbiamo scelto per la nostra vita ma che vediamo tutti i giorni, ognuno di essi ha delle modalità diverse di relazionarsi a noi. Avere dei problemi relazionali con qualcuna delle persone che ci circonda è la normalità, quando però il caso diventata consuetudine e le difficoltà relazionali sono costanti della nostra quotidianità allora è necessario fermarsi e fare una riflessione su noi stessi.

Problemi relazionali: una panoramica

 

problemi relazionali, quali sono?

L’uomo è un essere relazionale. La qualità delle nostre relazioni è determinante per il nostro benessere, tuttavia per alcune persone i rapporti interpersonali possono essere troppo spesso fonte di sofferenza. Avere degli schemi relazionali disfunzionali può impedire alla persona di vivere in modo sereno e spensierato molti tipi di relazione, provando sensazioni spiacevoli e mettendo di conseguenza in atto comportamenti controproducenti per il mantenimento di una relazione.

Ovviamente non è possibile elencare in modo esaustivo tutti i problemi relazionali esistenti, ma farò degli esempi per farti capire cosa intendo: può accadere ad esempio che si provi un forte senso di inadeguatezza che conduce ad isolarsi dagli altri, oppure che si provi un costante senso di colpa che conduce ad essere eccessivamente disponibili ed accondiscendenti con gli altri, mettendo sempre al primo posto il loro bisogni prima dei propri, oppure, l’essere eccessivamente sensibili alla critica che porta ad una diffidenza ingiustificata verso le relazioni o ancora, avere delle aspettative idealizzate di quello che una relazione può offrire e rimanere costantemente delusi da esse.

Cause dei problemi di relazione

L’uomo interagisce con realtà attraverso due aree di relazione:

la relazione con sé stesso e la relazione con gli altri.

Uno dei capisaldi della psicologia è questo:
Se una persona è stata amata, sarà capace di amare sé stessa, apprezzandosi e sarà capace di amare gli altri, aprendosi alle relazioni.

Sembra una banalità? Capiamo meglio, con un po’ di teoria, quali sono i meccanismi alla base di questa affermazione.

Attraverso le prime esperienze con le figure significative, solitamente i genitori, ogni individuo si misura con differenti modalità relazionali, che possono essere non solo amore, sostegno e protezione ma anche controllo, biasimo e critica, alcune della quali potrebbero risultare prevalenti rispetto ad altre e quindi più significative ed incisive (ad esempio una madre che tende principalmente a controllare i figli o un padre che tende a biasimarli più che a sostenerli).

Queste modalità utilizzate dagli adulti con il bambino costituiscono la base per le sue aspettative future nella relazione con gli altri, cioè si vengono a strutturare delle rappresentazioni di quello che ci si può aspettare da una relazione e crescendo la persona sarà improntata a relazionarsi agli altri proprio a partire da queste aspettative.
Il modello chiamato SASB (Structural Analysis of Social Behaviour), elaborato da Lorna Benjamin, consente di collegare il funzionamento di un individuo e quindi anche gli eventuali problemi relazionali in cui potrà incorrere, alla storia delle sue relazioni familiari.

Le relazioni familiari infatti sono la base a partire dalla quale la persona andrà a strutturare ciò che pensa di sé stessa, questo la influenzerà nell’avere determinati vissuti di fronte ad una particolare interazione e di conseguenza nel modo di porre sé stessa nelle relazioni con gli altri.

Adesso facciamo degli esempi! Se una persona è stata criticata e spesso svalutata dai suoi genitori, nel rapporto con sé stessa tenderà ad autosvalutarsi e a sentirsi inadeguata e di conseguenza nelle relazioni interpersonali tenderà a mettersi sulla difensiva; se una persona è stata trascurata o ignorata nel suo passato, nel rapporto con sé stessa tenderà a trascurarsi e nelle relazioni interpersonali tenderà a chiudersi e ad isolarsi; se invece un figlio è stato eccessivamente controllato o gli sono state date troppe regole, tenderà nel rapporto con sé stesso ad auto controllarsi e limitarsi e nel rapporto con gli altri a ubbidire, compiacere oppure al contrario, a ribellarsi.

Tuttavia così facendo la persona tenderà a confermare un concetto di sé negativo, rimanendo intrappolato in un processo che si autoalimenta, andando a sviluppare dei problemi nelle relazioni come ad esempio continue delusioni d’amore, rapporti di amicizia fragili e relazioni interpersonali insoddisfacenti.

Ovviamente anche in questo caso si tratta di una semplificazione poiché questi meccanismi possono dare luogo anche a comportamenti apparentemente opposti, ma pur sempre legati alle esperienze infantili (ad esempio un bambino che non ha mai ricevuto complimenti dal padre, potrà comportarsi in modo analogo oppure in modo opposto, riempiendo di complimenti le persone per lui significative, sommergendole di quelle attenzioni che a lui sono mancate).

Intervento

Riprendendo il discorso iniziale, avere dei problemi relazionali con familiari, amici, colleghi, a volte può farci pensare che siano queste persone la causa del nostro male e che siano loro ad aver bisogno di aiuto. Se da un lato questo può essere plausibile, dall’altro non ci aiuta nella risoluzione del problema perché ci rende impotenti: l’unica persona su cui possiamo agire infatti siamo noi, e ripetersi che la colpa è degli altri non ci servirà a niente!
Decidere di iniziare un percorso psicologico può essere un’occasione per lavorare su sé stessi e risolvere le proprie difficoltà di relazione.

L’intervento dello psicologo per chi ha problemi relazionali inizia proprio sviluppando una consapevolezza di questi e dei propri punti di forza e di debolezza nel relazionarsi agli altri. Anche essere consapevoli delle nostre debolezze è fondamentale, siamo portati infatti dalla società a nascondere le nostre debolezze e così finiamo oltre che a nasconderle agli altri, per nasconderle a noi stessi, e ci togliamo la possibilità di trasformarle.

Come sottolinea Lorna Benjamin nel suo modello (SASB) è fondamentale tener presente che le strategie relazionali che un individuo va a costruire via via interagendo nella sua famiglia, rappresentano proprio una strategia che è servita a far fronte a quel tipico stile di accudimento che abbiamo ricevuto durante l’infanzia. Attraverso un percorso psicologico è possibile capire come esse siano state utili in passato, ma adesso non lo sono più, e anzi sono passate da essere utili a essere controproducenti. Capire questo è fondamentale per abbandonare queste modalità relazionali e abbracciarne di più efficaci.

Il compito del terapeuta sarà quindi formulare delle ipotesi su quali siano stati gli stili prevalenti in famiglia, sia durante l’infanzia che nel momento attuale, questo consentirà allo psicologo di costruire una relazione terapeutica proprio sugli aspetti relazionali che al paziente sono mancati e che sono necessari al suo cambiamento, andando a scardinare così le vecchie modalità relazionali e allenandosi nell’utilizzo di quelle nuove.

Se hai delle curiosità, sarò felice di risponderti, contattami pure!

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Dott.ssa Beatrice Ottaviani Psicologa in Valdarno